di Herman Melville
adattamento Micaela Miano
regia Guglielmo Ferro
con Moni Ovadia e Giulio Corso e cast in via di definizione
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Quirino, Compagnia Molière
A partire dalla sua pubblicazione nel 1851, il romanzo di Herman Melville, capolavoro della letteratura americana, ha ispirato e continua a ispirare registi, poeti e autori. L’epica storia della balena bianca e dei suoi inseguitori riprende vita in questa versione diretta da Gugliemo Ferro, con Moni Ovadia straordinario protagonista nelle vesti del Capitano Achab: una coppia già collaudata nella scorsa stagione del CTB con l’applaudita messa in scena di Assassinio nella cattedrale di T.S. Eliot.
La narrazione teatrale inizia sulla baleniera Pequod. Qui, in un susseguirsi frenetico di tempeste, battute di caccia, avvistamenti, bonacce, canti, riti pagani e preghiere, si consumerà la tragedia di tutti i personaggi: Queequeg, Pip, Ismaele, Lana caprina, Tashtego, Flask, Daggoo, Stubb, Fedallah…
Il Pequod è il vascello stregato che porta la ciurma verso la perdizione. Il doblone d’oro sul suo albero maestro e il patto di sangue dei marinai sono la chiamata mefistofelica verso gli abissi della non-conoscenza.
Una particolare importanza, nel racconto, è assegnata al rapporto tra il Capitano Achab e il primo ufficiale Starbuck, reso sulla scena da Giulio Corso. Achab, ossessionato dalla vendetta, è l’uomo empio che disconosce Dio, l’uomo dell’oltre e della violazione. Starbuck, invece, è il suo alter ego, voce della coscienza e della prudenza, testimone di una visione teocentrica che si scaglia contro la blasfemia dell’odio di Achab verso la balena bianca.
E se nella caccia maniacale a Moby Dick è la follia a guidare il capitano Achab, è sul piano del conflitto umano contro Starbuck che Achab conosce l’orrore: la parte recondita della sua stessa coscienza.
La malattia di Achab è Moby Dick, ma Starbuck ne è la manifestazione clinica. Moby Dick gli fa male con la sua “assenza” lì dove Starbuck lo fa con la sua
“presenza”.
Un conflitto posto sullo stesso piano, uno specchio dove galleggia il peccato originale… una balena bianca in un abisso nero. E poi lo specchio si crepa.
Moby Dick non è una balena, è una condanna, una maledizione che diventa sfida tra uomini. È la storia di un’ossessione epica che ha la fisionomia di una tragedia shakesperiana, tale è il senso drammatico dei suoi personaggi.
Non c’è redenzione sul Pequod, solo una fitta nebbia.