di Molière
adattamento e traduzione Angela Dematté
regia Andrea Chiodi
con Tindaro Granata e Lucia Lavia
e con Angelo Di Genio, Emanuele Arrigazzi, Alessia Spinelli, Nicola Ciaffoni, Emilia Tiburzi, Ottavia Sanfilippo
scene Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
musiche Daniele D'Angelo
luci Cesare Agoni
cura dei movimenti Marta Ciappina
produzione Centro Teatrale Bresciano
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Accademia Perduta Romagna Teatri
Dopo il successo degli allestimenti dedicati a classici come La locandiera di Goldoni e La bisbetica domata di Shakespeare – per cui Tindaro Granata è stato candidato al Premio Ubu –, l’attore siciliano e il regista Andrea Chiodi tornano a collaborare lavorando su uno dei testi più fortunati di Molière, Il malato immaginario.
Il 1673 è l’anno di composizione dell’opera: un nuovo attacco di Molière contro i medici, che testimonia, ancora una volta, il suo odio viscerale per questa
categoria.
“Molière – scrive Giovanni Macchia, tra i francesisti più autorevoli del Novecento – è uno scienziato delle nevrosi”. È un uomo malato, che teme di morire, ma che sa anche che ridere e far ridere è una difesa contro quelli che erano i suoi stessi mali: la gelosia, il dolore, l’ansia, la malinconia. C’è, dunque, dietro commedie che sembrano fatte di comicità persino farsesca, l’ombra di un autoritratto, un gioco, dice Macchia, “tra assenza e presenza”.
"La mia esplorazione e curiosità per questo testo – dichiara Andrea Chiodi – inizia da questa battuta di Molière: ‘Quando la lasciamo fare, la natura si tira
fuori da sola pian piano dal disordine in cui è finita. È la nostra inquietudine, è la nostra impazienza che rovina tutto, e gli uomini muoiono tutti quanti per
via dei farmaci e non per via delle malattie’. Una visione che fa un po' paura, ma che, allo stesso tempo, mi intriga moltissimo”.
E sarà un Malato immaginario onirico e irriverente quello firmato da Andrea Chiodi, divertente e contemporaneo nel portare in scena le vicende familiari
dell’ipocondriaco Argante, circondato da medici inetti e furbi farmacisti, ben felici di alimentare le sue ansie per tornaconto personale.
Come l’avaro Arpagone, Argante è vittima di sé stesso e burattino di chi gli sta intorno, prigioniero della sua stessa paura, un’ossessione – l’ipocondria – che in questa nuova versione del capolavoro di Molière diventerà piena protagonista.