I maneggi per maritare una figlia

DAL 16 APRILE 2024 AL 21 APRILE 2024 - Teatro Sociale

di Niccolò Bacigalupo
regia Tullio Solenghi
riduzione e adattamento Tullio Solenghi, Margherita Rubino
con Tullio Solenghi, Elisabetta Pozzi, Roberto Alinghieri, Isabella Maria Loi, Pier Luigi Pasino, Stefania Pepe, Laura Repetto, Matteo Traverso, Aleph Viola
scene e costumi Davide Livermore
trucco e parrucco Bruna Calvaresi
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Sociale Camogli, Teatro Nazionale di Genova

Una commedia esilarante, interpretata da due fuoriclasse della scena teatrale italiana: Tullio Solenghi, icona della comicità nazionale, nei panni di Steva, e la straordinaria Elisabetta Pozzi che, per l’occasione, abbandona il ruolo di grande eroina del teatro drammatico per dare vita al personaggio esplosivo di Giggia.

Solenghi e Pozzi, entrambi liguri, si confrontano con il testo di Niccolò Bacigalupo, tra le commedie più amate e celebri della tradizione dialettale genovese, consegnata alla storia dal genio di Gilberto Govi: una mescolanza di dialetto e italiano, resa attraverso un sapiente e godibile equilibrio.

Siamo a Genova, sono gli anni Cinquanta. Steva è un uomo semplice e mite, continuamente vessato dai rimbrotti dall’incalzante moglie Giggia. I due coniugi, non più giovanissimi, sono impegnati nella scrupolosa ricerca di un “buon partito” per maritare la loro unica figlia, Metilde. La sgangherata selezione ha inizio, determinando un continuo andirivieni di candidati più o meno papabili, che genera un crescente vortice di intrighi, malintesi, gag, battibecchi e risate. In una travolgente corsa verso il matrimonio, marito e moglie sono pronti a fare “carte false” per garantire all’erede e a tutta la famiglia un futuro di agi e ricchezze.

Nello spettacolo, il richiamo all’universo di Gilberto Govi è forte, quasi un omaggio che Solenghi tributa all’artista genovese – complici anche le scene di Davide Livermore che, in un gioco di bianco e nero, rimandano alle commedie di Govi trasmesse dalla Tv degli anni Sessanta: “È una sorta di clonazione – scherza Solenghi – penso sia necessario riportarlo [Govi, ndr] sul palcoscenico nel modo più fedele possibile. Per me quella di Govi è una ‘maschera’ senza tempo, paragonabile a quella di Arlecchino, ed è con questo rispetto e con questa dedizione che mi accingo a interpretarlo. Non esiterei a definirla una sorta di stimolante ‘archeologia teatrale’ che permetta al pubblico odierno, in una sorta di viaggio nel tempo, di rivivere coi Manezzi uno dei momenti più esaltanti della più grande personalità teatrale genovese del secolo scorso”.


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