DAL 07 MARZO 2017 AL 08 MARZO 2017 - Teatro Sociale
testo Luca Doninelli
in scena Ermanna Montanari
musica Luigi Ceccarelli
regia del suono Marco Olivieri
disegno luci Francesco Catacchio
direzione tecnica Luca Fagioli
assistente spazio e costumi Roberto Magnani
consulenza e traduzione in arabo Tahar Lamri
in video Khadija Assoulaimani
voce e percussioni in audio Marzouk Mejri
realizzazione musiche Edisonstudio Roma
ideazione, spazio, costumi e regia Marco Martinelli e Ermanna Montanari
produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro in collaborazione con Teatro de gli Incamminati/deSidera
Lo spettacolo precedentemente annunciato Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi previsto il 7 e 8 marzo al Teatro Sociale di Brescia, a causa di un grave infortunio di un attore della Compagnia, verrà sostituito da Maryam, spettacolo prodotto sempre dal Teatro delle Albe che vede protagonista Ermanna Montanari (3 volte premio UBU come migliore attrice) in un emozionante monologo di Luca Doninelli, per la regia di Marco Martinelli.
Maryam è programmato in concomitanza con la Giornata Internazionale della Donna e, come già Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi, pone al centro alcune figure femminili, indagandone sofferenze, speranze e volontà di resistenza.
“Zeinab, Intisar, Duoha, cosa posso darvi? Solo il mio bacio, la mia carezza. È tutto quanto possiedo. Per sempre voi sarete con me, nel cuore del mondo, là dove nessun figlio muore.”
Maryam è Maria, la Madre di Gesù nel Corano. Maryam racconta come sia centrale questa figura nella cultura islamica. In tempi di terrorismi e di ferocia, Maryam si pone come la "donna dell'incontro", un ponte tra cristianesimo, islam e cultura contemporanea. Ermanna Montanari dà voce a tre donne palestinesi che condividono con Maria il dolore per la morte dei figli e dei fratelli dovute all'ingiustizia e agli orrori del mondo. Madri che si rivolgono a lei per chiedere consolazione, o per gridare la propria rabbia, per reclamare vendetta, o semplicemente per invocare una risposta al perché della guerra e della violenza. La invocano come accade in tanti santuari musulmani del Medio Oriente e del Maghreb. Ed è infine Maryam stessa ad apparire e a condividere, madre tra le madri, il dolore di quelle donne.
L’idea di Maryam viene da lontano, precisamente dalla Basilica dell’Annunciazione di Nazareth dove mi recai tra il 2005 e il 2006. Lì assistetti allo spettacolo di una fila quasi ininterrotta di donne musulmane che entravano nella basilica per rendere omaggio alla Madonna. Quella visione mi colpì per la sua solennità, per la certezza fiduciosa che quelle donne mi trasmettevano. Me la sono portata dentro per anni, finché, volendo scrivere un testo teatrale su Maria, mi è balzata alla memoria.
Luca Doninelli
ESTRATTI DALLA RASSEGNA STAMPA
Ermanna Montanari vertiginosa Maryam per Doninelli
Mistico e misterioso: questi aggettivi basterebbero a qualificare le peculiarità di Maryam, scritto da Luca Doninelli in modo potente, profondo, lineare. È Ermanna Montanari, protagonista superba e ieratica, a dare la sua eclettica, ancestrale voce a quattro figure femminili: la dura e graffiante Zeinab, l’implorante Intisar, la mortificata Douha e infine Maryam-Maria a cui nella basilica dell’Annunciazione di Nazareth queste icone di donne islamiche, accomunate da una perdita tragica (un’amica schiavizzata, un fratello kamikaze, un figlio inabissatosi nel mare), si rivolgono con venerazione per urlare sommessamente vendetta e per esigere un’impossibile risposta. C’è davvero da smarrirsi tra le inenarrabili materne sofferenze, da stupirsi di fronte all’adorazione dei musulmani per Maria, da tacere davanti all’onnipotenza dell’amore di Dio che lascia liberi i suoi figli di tradirlo. Ma parla alla fine Maryam-Maria, e lo fa con un monologo spiazzante e struggente in cui riecheggiano gli echi testoriani di Interrogatorio a Maria.
Michele Sciancalepore, Avvenire
Il grido di dolore delle donne palestinesi
Ermanna Montanari, “regina” delle Albe di Ravenna, con la sua voce straordinariamente duttile riesce a dare spessore e profondità alle parole, a fare della parola corpo. Bravissima. Quattro movimenti, quattro canti, con la regia rigorosa di Marco Martinelli, per un dolore che fa vibrare e che nessuno mai potrà non condividere.
Magda Poli, Corriere della sera
Forse, in questo nostro universo così confuso e contraddittorio, solo la brace di uno sguardo laico può illuminare ancora il mistero che la fede o meglio le fedi custodiscono. Maryam, la nostra Maria nella locuzione araba, appare al centro di questo mistero, anzi ne è lo snodo essenziale. Marco Martinelli ed Ermanna Montanari costruiscono lo spazio di un transito scenico straordinariamente empatico. È una drammaturgia che paradossalmente induce al silenzio, quel silenzio particolare che ci conduce in quel luogo profondo che la scena magistralmente e misteriosamente riesce ad anticipare, in cui dentro di noi possiamo essere messi di fronte al “senza tempo”, qualunque sia il nome che ad esso vogliamo dare.
Maria Dolores Pesce, Dramma.it
Maryam. Una preghiera per ogni umanità
Mistici, sibilanti, luminosi. Gli artisti sono innanzitutto “sacerdoti del buio”. Questi epiteti ben si adattano a Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. La voce dell’attrice si mantiene su un registro ruvido: presenta le tre donne palestinesi affondate nel lutto per i figli, vittime del sanguinoso conflitto, la cui durata sta facendo nascere intere generazioni senza un’idea di pace. La preghiera – ricerca di conforto, di dolcezza, di silenzio, soprattutto di grazia – evoca Maryam, che coronerà con un proprio lamento una sorta di epilogo. I drammi di ieri sono i drammi di oggi e, sembra dire Maryam, saranno anche quelli di domani. Nella potenza del teatro, in questo concerto spirituale c’è spazio per la poesia ma anche per una cruda ricognizione dell’animo, cha aggiunge vittime a vittime, nella ricerca di un orizzonte comune dove stagliare, annullandola, ogni differenza di credo. In attesa di una risposta che provenga dal più profondo strato dell’umano.
Sergio Lo Gatto, Teatro e Critica
Tre donne con l’anima in tumulto chiamano un’altra donna: “um una Maryam”. La invocano con grazia, ma ogni preghiera finisce con una richiesta di vendetta: sacrosanta, rabbiosa, senza sconti. Diciamo subito che si tratta di un lavoro profondamente laico e spudoratamente umano. Sul fondo palco e sul telo, proiezioni di città bombardate e soldati; tagli sbilenchi di luce, versi coranici, il volto di una donna. La Montanari, sotto la calibrata direzione di Marco Martinelli, si abbandona a un’estradizione spazio-temporale che diventa preghiera collettiva, invocazione dissennata e necessaria. La Maryam che infine risponde è una madre fassbinderiana moderna e umanissima, incastonata in una corona di lumini rossi che, come il teatro, ancora, ostinatamente (r)esiste.
Francesca Saturnino, Repubblica.it
Maria di tutti i popoli
L’argomento è palpitante, ma rischioso: il culto di Maria nella fede islamica, le donne arabe che si rivolgono alla madre di Gesù per chiederle soccorso e consolazione. In una fase in cui i rapporti tra cristiani e musulmani sono dominati da tensioni e da paure, è bello e giusto che una compagnia teatrale ponga la questione di un possibile ponte tra le due culture, di un pensiero che unisca, anziché lacerare. Ma ovviamente la materia è difficile da affrontare alla ribalta, basta un nulla perché sfugga di mano, perché scivoli in un facile ecumenismo, nell’astrazione. Va detto subito che lo spettacolo delle Albe, una di quelle creazioni a metà fra il concerto, la performance vocale e la messinscena vera e propria, che esaltano l’intensità e il talento recitativo di Ermanna Montanari, sembra studiato apposta per eludere queste insidie: la regia di Martinelli costruisce una serrata partitura sonora, visiva, verbale. La Montanari è bravissima. Un ruolo fondamentale, nella messa a punto di questo trascinante intarsio emotivo, ce l’ha il musicista Luigi Ceccarelli. Quanto a Ermanna, come descrivere il risultato che raggiunge? Ferma e dritta davanti all’asta del microfono, stagliata in una tenue pozza di luce, a tratti sembra smaterializzarsi: diventa pure phoné e la sua emissione, ora roca, rabbiosa, si fa simile a un canto immobile, un canto senza note, dentro di sé.
Renato Palazzi, Il Sole 24 ore
Così la Madonna consola il dolore delle musulmane
In Maryam tre donne palestinesi condividono attraverso la preghiera a Maria un grido inconsolabile. Maryam è l’incredibile ma reale possibilità di incontro tra due fedi e due culture: a lei spetta il cameo finale, la risposta al perché del male e della perdita e la proposta d’amore. Le tre donne e Maryam sono voci prima che corpi e potrebbero abitare in centinaia di vittime, troppo spesso anonime. Così, come una moltitudine, le fa sentire sul palco Ermanna Montanari (tre volte premio Ubu come miglior attrice). Lo spettacolo si regge su un testo potente, che dà rilievo all’umana sofferenza e alle ragioni del cuore, più che a quelle della fede. La messinscena sostiene questa potenza con monoliti di luce, proiezioni di cifre arabe sul velo sottile che divide il pubblico dal martirio e le folgoranti musiche tribali di Luigi Ceccarelli.
Stefania Vitrulli, Il Giornale
È onnipotenza dell’amore che è anche racconto dell’impotenza dell’amore, è un dialogare tra madri disperate, tra chi ha conosciuto l’orrore della morte di un figlio con chi il proprio figlio amatissimo “non ha potuto togliere dalla croce”. È Maryam. Ermanna Montanari si è impadronita con pudore e sapienza di questa scrittura intensa e drammatica, e con il suo temperamento forte ne ha scolpito le parole in un bassorilievo della voce che prende corpo, dimensione, profondità. Levigata e ruvida la sua voce racconta storie che sono preghiere, e ci offre allo sguardo occhi disperati, gesti violenti, gioventù violata, grida di ribellione e sussurri di stupita rassegnazione. Voce che è turbamento anche per chi non crede, perché giunge alle orecchie, agli occhi, al cuore, alla mente.
Giulio Baffi, Repubblica.it
Durata: 60 minuti senza intervallo